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Vigo di Cadore e i suoi segreti – Parte 2

  • Ale_Iva
  • Mar 17
  • 4 min read

Ieri vi ho invitati a seguirmi in un vero e proprio viaggio nel tempo. Abbiamo scoperto insieme la parte più antica della bellissima Vigo di Cadore, un paese di montagna in provincia di Belluno. Oggi ci dedicheremo al lato più oscuro del suo passato: la Grande Guerra e la Seconda Guerra Mondiale.


Di Alessandra Ivaldi / 17.03.2025


Per chi si fosse perso la prima parte del nostro viaggio, in fondo alla pagina troverete il link al precedente articolo su Vigo di Cadore. Se invece volete proseguire con questa nostra esplorazione, allora mettetevi comodi e proseguite con la lettura.


Vigo di Cadore e la zona circostante sono sovrastati da montagne, che in passato erano considerate una potente risorsa naturale da sfruttare in caso di eventuali attacchi nemici. All’inizio del secolo scorso vennero dunque costruiti diversi forti corazzati sulle vette più alte, con l’idea di consentire ai soldati italiani di esercitare un efficace controllo su passi alpini e altri punti di accesso al territorio nazionale. Fra le più importanti postazioni militari che coinvolsero il territorio del Cadore, vi fu quella del Monte Tudaio, una cima alta 2.114 m che domina il territorio di Vigo.


Nel 1908 si cominciò a lavorare per la costruzione di una tortuosa strada che potesse consentire lo spostamento dell’artiglieria pesante fino alla cima del Monte Tudaio. Ancora oggi i visitatori che decidono di percorrere questa strada possono osservare enormi anelli di ferro saldamente piantati nella roccia, che in passato erano stati necessari per manovrare le funi con cui i soldati dovevano trascinare i cannoni lungo il fianco della montagna. Se ci si sofferma a riflettere di fronte a questi anelli, non si potrà che provare un brivido di orrore al pensiero che proprio quel sentiero di montagna, che oggi percorriamo per divertimento, sia stato luogo di inimmaginabili sofferenze e pericoli per i giovani soldati che lo crearono e che trasportarono fin sulla cima i pesantissimi cannoni.

Anello di ferro piantato nella roccia nel fianco della montagna
Anello di ferro piantato nella roccia nel fianco della montagna

Nonostante le tante difficoltà, alla fine l’uomo domò la montagna: la strada fu costruita, i cannoni vennero trasportati fino alla vetta e l’inespugnabile forte divenne una realtà. Al di sotto di questa postazione corazzata, nel cuore della montagna, fu scavato a lungo per costruire una vera e propria cittadella sotterranea a più piani, munita di polveriere, magazzini, depositi per le munizioni… L’intero apparato era stato progettato con l’idea di permettere a una truppa di 200 uomini di resistere a oltranza anche in caso di invasione nemica del Cadore.


Il forte giocò un ruolo importante in seguito ai tragici eventi di Caporetto e alla conseguente ritirata delle truppe italiane. Infatti, nel 1917 i soldati sul Monte Tudaio spararono sulle truppe austriache che avevano invaso Auronzo e Santo Stefano. Tuttavia, il grande sogno della fortezza inespugnabile si rivelò presto una vana illusione. Le truppe italiane dovettero ben presto ritirarsi di fronte all’avanzata austriaca, abbandonando la postazione sul Monte Tudaio e danneggiandone i cannoni prima che cadessero in mani nemiche.


Il forte in cima al monte, dunque, fu occupato dai soldati austriaci, che però dovettero cederlo nuovamente all’Italia appena un anno dopo, nel 1918. Al momento di ritirarsi, decisero di radere al suolo la fortezza con potenti cariche esplosive. Ancora oggi immense lastre di cemento, ciò che resta del forte, giacciono in disordine sulla vetta della montagna e offrono una vista piuttosto singolare ai camminatori in grado di arrivare fin qui.


Anche gli escursionisti meno allenati, comunque, possono farsi un’idea dell’impressionante opera militare che aveva coinvolto il Monte Tudaio, perché la storia del forte non si concluse con la fine della Grande Guerra, purtroppo. Fra il 1939 e il 1941 i rapporti fra Mussolini e Hitler si fecero tesi anche a causa dell’annessione dell’Austria al Terzo Reich. Il governo italiano allora ritenne più prudente “rinnovare” le proprie postazioni difensive sulle montagne, azione che coinvolse tutta la parte alta del Cadore. Tali impianti militari vennero soprannominati, non a caso, “Linea non mi fido”.


Per quanto riguarda il Monte Tudaio, il bunker sotterraneo che era stato scavato durante la Prima Guerra Mondiale tornò in uso e fu ulteriormente ampliato, venendo soprannominato “Vallo dei 400 scalini” per via del grande dislivello interno che caratterizzava questa struttura. Si trattava di un vero e proprio labirinto sotterraneo, con numerose scale che consentivano l’accesso alle varie aree. Al suo interno vi erano il ricovero del presidio militare, la cannoniera e le postazioni per le mitragliatrici, l’alloggio per l’ufficiale comandante, la sala radio, i depositi per i viveri e per le munizioni, le cucine, i servizi igienici, l’infermeria, le cisterne per l’acqua e gli spazi per la strumentazione per l’illuminazione, la ventilazione e il filtraggio dell’aria. Il tutto compartimentato da porte stagne per garantire l’isolamento dei soldati italiani da eventuali gas immessi dall’esterno dal nemico.

Un labirinto sotterraneo
Un labirinto sotterraneo

Il bunker è visitabile ancora oggi e facilmente raggiungibile a piedi sia partendo da Laggio sia da Pinié. Raggiunto il Rio Soandre, ai piedi del Monte Tudaio, vi sono numerosi cartelli a indicare il percorso che conduce fino a uno degli ingressi del bunker. Altri due ingressi sono raggiungibili scendendo lungo una scalinata esterna di 400 scalini.

L'ingresso del bunker in cima alla scalinata
L'ingresso del bunker in cima alla scalinata

È più raccomandabile visitare il bunker durante i mesi estivi, quando vengono installate delle luci per permettere un’esplorazione sicura del luogo. In ogni caso è fondamentale che i visitatori si procurino una potente torcia prima di avventurarsi all’interno del bunker. Tenete bene a mente che perfino in estate, nel malaugurato caso in cui l’impianto luminoso dovesse saltare, vi ritrovereste intrappolati in un labirinto di stanze e corridoi, nel cuore della montagna, nel buio più completo, dove nemmeno il più esile raggio di sole potrebbe mai arrivare. Che tutto ciò non sia forse un implicito messaggio per i moderni visitatori del luogo? È come se la montagna ci parlasse, rammentandoci che, dove ci sono guerra e armi, solo il buio e la morte possono regnare.



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